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Gilgamesh-la foresta dei cedri

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Messaggio Da admin Ven Nov 01, 2013 9:55 pm

Tavola V
pagina dall'epopea: La foresta dei cedri.

Riassunto 1

Bellezza e violenza
Il brano si apre con la suggestiva immagine della Foresta dei Cedri, un luogo carico di significati simbolici per la mitologia sumera. In alcuni racconti antichi, essa appare come dimora divina e svolge quindi la stessa funzione dell’Olimpo, il monte sulla cui sommità vivevano gli dèi del pantheon greco. In altre versioni, invece, la Foresta è un luogo che incute spavento, a guardia del quale il dio Enlil aveva posto il mostro Khubaba, simbolo di malvagità. L’ampiezza, la bellezza e la ricchezza della vegetazione descritte all’inizio del brano accentuano per contrasto la terribile violenza del mostro, che imperversa all’interno della Foresta provocando terremoti. Il racconto prosegue con l’alterco tra Khubaba, Enkidu e Gilgamesh. Il mostro apostrofa Enkidu con parole sprezzanti, rinfacciandogli la sua natura semiumana e manifestando verbalmente una violenza tale da impaurire Gilgamesh, che improvvisamente sente venirgli meno il coraggio. Ma Enkidu lo rincuora, gli ricorda che le armi in suo possesso sono state forgiate apposta per l’impresa e lo sprona ad affrontare il mostro. Quando la lotta ha inizio, tutto il paesaggio circostante ne viene sconvolto: le nubi si oscurano, le montagne si separano e la terra trema sotto l’urto dei colpi finché, grazie all’aiuto del dio Sole, Shamash, che scatena contro Khubaba la forza dei venti, il mostro viene finalmente abbattuto.

Riassunto 2 (molto diffuso su internet, te lo sconsiglio):

Gilgamesh e Enkidu giungono nella foresta dei cedri e cercano i tronchi migliori da tagliare e portare a Uruk. Vengono scoperti dal mostro Khubaba, posto a guardia della foresta dal signore degli dei, Enlil. Il mostro maledice i due uomini, sperando d'impaurirli, ma gli eroi non indietreggiano e lo scontro ha inizio. Con l’aiuto di Shamash, Gilgamesh e Enkidu riescono a sopraffare il mostro che chiede pietà. Enkidu tuttavia avverte Gilgamesh che le parole del mostro contengono menzogna e sprona l’amico a finire la creatura. Il bottino è grande. Gli alberi sacri vengono tagliati e portati a Uruk.

Riassunto n 3:

I due amici si avventurano fuori dalla città verso la foresta dei cedri dove il terribile mostro Humbaba sta a guardia dei pregiati alberi. Il loro scopo è tagliare i tronchi più belli per portarli ad Uruk ma vengono scoperti dal mostro. Uniti combattono e sconfiggono la bestia e così i due eroi trionfanti fanno ritorno ad Uruk.

Riassunto n. 4:

Un giorno Gilgamesh propose al suo compagno di partire per una grande impresa: sarebbero andati nel Paese delle Montagne, dove si trovava la Foresta dei Cedri, e lì avrebbero raccolto il legname necessario per costruire nuovi palazzi che avrebbero abbellito la città di Uruk. Per ottenere il legno Gilgamesh ed Enkidu dovettero però lottare duramente contro il mostro Khubaba che venne ucciso. La sua morte offese molto Enlil, il dio del vento, che si infuriò e maledì i due eroi.

Riassunto 5:

I due amici si avventurarono fuori dalla città, verso la foresta dei cedri dove il terribile mostro Humbaba stava a guardia dei pregiati alberi. Il loro scopo era tagliare i tronchi più belli e riportarli ad Uruk, ma vennero scoperti dal mostro; però riuscirono a sconfiggerlo. I due eroi tornarono quindi ad Uruk con il loro prezioso bottino.

Riassunto 6:

Una volta divenuti amici, Gilgamesh ed Enkidu ne combinarono di cotte e di crude, divertendosi alle spalle dei comuni mortali e realizzando al tempo stesso delle imprese straordinarie. Ce n’era una, in particolare, che li attirava da matti. Si trattava della Foresta dei Cedri, un luogo sacro appartenente a Šamaš, il grande dio del sole. Questo luogo era sorvegliato dal terribile Humbaba, una bestia mitologica dal potere immane, la cui forza si abbatteva su chiunque osasse entrare. Ma perché i due compagni volevano cimentarsi un un’impresa tanto pericolosa? È presto detto: per la gloria. “Chi è l’uomo che può scalare il cielo? Soltanto gli dei vivono per sempre con Šamaš glorioso; invece noi uomini abbiamo i giorni contati, le nostre faccende sono un soffio di vento […]. Così, se cado, lascerò ai posteri un nome duraturo. Di me gli uomini diranno: ‘Gilgamesh è caduto nella lotta con Humbaba feroce’. Per molto tempo dopo la nascita del figlio nella mia casa lo diranno e si ricorderanno”. L’immortalità, dunque, questa prosecuzione della vita che persiste ancora dopo la nostra morte e che può essere ottenuta solamente con la fama e col ricordo delle genti che verranno. I due allora si avviarono verso il bosco di cedri, armati soltanto del loro coraggio. Ora, il fatto che il cedro fosse ritenuto un albero sacro non dovrebbe stupirci, dal momento che l’antica Mesopotamia, così fertile quando la terra veniva curata, difettava però di legname, tant’è vero che questo veniva importato soprattutto dal vicino Libano, regione ricca di cedri pregiati. Arrivati nel bosco, i due compagni per prima cosa si misero ad abbattere proprio il cedro più antico, così da suscitare l’immancabile reazione dell’inospitale Humbaba. “Quando Humbaba udì il rumore da lontano ne fu infuriato; gridò: ‘Chi è costui che ha violato i miei boschi e tagliato il mio cedro?”. Ora, se Humbaba metteva paura anche già solo a pensarlo, figuriamoci vederselo arrivare tutto livido di rabbia, coi denti sporgenti e gli artigli affilati! Come prima conseguenza si ebbe che il nostro prode Gilgamesh finì a terra senza sensi, vittima forse di un potente incantesimo. Il povero Enkidu ci provava in tutti i modi a rianimarlo, ma con scarso successo. Finalmente il suo compagno si riprese, e di lì a poco tempo si riebbe del tutto - e Humbaba, che faceva nel frattempo? Misteri dell’epica antica… Enkidu, nonostante il compagno avesse ripreso le forze, rimaneva un tantino impaurito dalla presenza del custode micidiale. Ma Gilgamesh lo redarguì con queste parole: “Tutti gli esseri viventi nati da carne siederanno alla fine sulla barca dell’Ovest; e quando questa affonderà, quando la barca di Magilum affonderà, essi saranno scomparsi; noi però andremo avanti e poseremo gli occhi su questo mostro. Se il tuo cuore ha paura, getta via il terrore. Prendi in mano la scure e attacca. Chi lascia incompiuta la lotta non ha pace”. Purtroppo per loro, però, il coraggio e la scure non bastarono ad avere ragione del mostro. Ci voleva un intervento divino, e così Gilgamesh non esitò a rivolgersi al solito Šamaš, che indulgente come sempre gli offrì addirittura l’aiuto dei venti, in tutto due per ogni punto cardinale. Forte di queste armi soprannaturali, Gilgamesh ebbe infine ragione del mostro, il quale a un certo punto gli gridò: “Gilgamesh, fammi parlare. Io non ho mai conosciuto una madre, no, nemmeno un padre che mi allevasse. Nacqui dal monte, fu lui ad allevarmi, ed Enlil mi fece custode di questa foresta. Lasciami andare libero, Gilgamesh, e io sarò il tuo servo, tu sarai il mio signore; tutti gli alberi della foresta saranno i tuoi. Io li abbatterò e ti costruirò un palazzo”. C’era proprio di che mettersi d’accordo, e per dovere di cronaca bisogna dire che Gilgamesh era lì lì per accettare. Fatto sta che a un certo punto intervenne il buon Enkidu, che si espresse pressappoco in questo modo: “Se l’uccello intrappolato ritornerà al nido, se l’uomo prigioniero farà ritorno fra le braccia di sua madre, allora tu, amico mio, non farai mai ritorno ala città dove ti attende la madre che ti ha fatto nascere. Costui ti sbarrerà la via alla montagna e renderà i sentieri inaccessibili”. Humbaba tentò a modo suo di replicare, ma non ci fu niente da fare: “Non ascoltare, Gilgamesh! Questo Humbaba deve morire. Uccidi prima Humbaba e poi i suoi servi”. Detto fatto: “Gilgamesh prestò ascolto alla parola del compagno, prese la scure in mano, estrasse la spada dalla cintura e sferrò a Humbaba un colpo di spada nel collo; Enkidu suo compagno sferrò il secondo colpo. Al terzo colpo Humbaba cadde. Allora vi fu un subbuglio, perché quello che avevano abbattuto era il custode della foresta”. Era proprio così: la terra si mise a tremare, il cielo divenne di piombo. Persino gli dei si infuriarono - come se non fossero già stati avvertiti! Nonostante tutto questo finimondo, i due compagni riuscirono a svignarsela e a tornare sani e salvi alla loro città.

Riassunto 6:

La loro prima impresa (Gilgamesh e il suo amico Enkidu) è contro Khubaba, il custode della foresta dei cedri. La foresta dei cedri era un luogo sacro che gli dei hanno riservato a se stessi, proibendone l’accesso agli uomini. I cedri, maestosi e altissimi, che sembrano sfiorare il cielo, non devono essere toccati da mano umana. Da qui, la loro decisione di porre uno spaventoso mostro, Khubaba a guardia della foresta; i suoi si dice che producessero scosse molto forti di terremoto per tutta la montagna. Dopo aver consultato l’Assemblea dei Giovani e degli Anziani, Gilgamesh si reca dalla madre che invoca su di lui la protezione del dio del sole e della giustizia: Shamash. Giunti nella foresta affrontano il mostro e lo uccidono grazie all’aiuto di Shamash.

Commento 1:

Questo episodio rivela due ordinamenti divini in lotta tra loro. L’eroe ed Enkidu sono protetti da Shamash, ma altri dei hanno resa sacra quella foresta che hanno voluta custodita da un mostro-gigante. Gilgamesh, Enkidu e Shamash sono dalla parte del bene; Khubaba e gli dei che lo hanno posto lì, da quella del male. L’uccisione del mostro della foresta è la lotta contro il principio ella tenebra e del male; non a caso il dio che protegge G. è Shamash, il dio della giustizia.

Commento 2 (molto diffuso su internet: puoi utilizzarlo a condizione che cambi un po' le parole mantenento il senso della frase):
(vv. 1-11)
La Foresta dei Cedri era localizzata nell'alta Siria vicino a Ebla, città nota già nel III millennio a.C. per il commercio di legname con la Mesopotamia e con l'Egitto. Leggiamo da un'iscrizione incisa su una statua raffigurante Gudea (ca. 2130 a.C) l'arrivo a Lagash di pregiati legnami per edilizia «dalla città di Urshu, dalle alte terre di Ebla». Nel mito del viaggio di Nanna a Nippur si parla espressamente del legname proveniente dalla «foresta di Ebla». Ma è in un'iscrizione attribuita a Sargon di Akkad (pervenutaci in una copia paleobabilonese) che Ebla è direttamente associata alla Foresta dei Cedri:
«Sargon, il re di Kish, vinse trentaquattro battaglie... Sargon al dio Dagan diede il paese superiore: Mari, Yarmuti, Ebla fino alla Foresta dei Cedri e ai Monti d'Argento».
Insomma Ebla era un toponimo associato a una regione ricca di foreste e giacimenti minerari. Sappiamo che intorno al 2400 a.C. Ebla controllava le fonti di approvvigionamento del legno e dei metalli, particolarmente argento e rame sia verso la Mesopotamia sia verso l'Egitto. Questo controllo era garantito da due fattori. Il primo era la vicinanza geografica con le ricche foreste della regione pedemontana delle catene del Libano e della Palestina. Il secondo era l'ubicazione sulla direttrice di uno dei rari passaggi dalla valle dell'Eufrate e dall'altopiano siriano alla costa del Mediterraneo. Gli altri sbocchi sul Mediterraneo erano controllati da Aleppo (più a nord) e Qatna (più a sud). E' probabile che proprio il controllo delle materie prime prime abbia provocato la dura reazione della potenza della nascente dinastia sargonide, attratta dagli enormi interessi economici in gioco in tutta l'area siriana.
Merita ricordare che, tra le migliaia di tavolette rinvenute negli archivi di Ebla (2400-2300 a.C.) vi sarebbe - ma non tutti gli studiosi sono concordi - il più antico documento in cui si parli di Gilgamesh. Da notare che nei sigilli reali eblaiti dell'età del Bronzo è molto frequente il motivo araldico di Gilgamesh (p. 103 Mat 1995). L'ipotesi che la saga di Gilgamesh nasca geograficamente là dove si credeva l'ubicazione della mitica Foresta dei Cedri è quantomeno suggestiva.

Commento (vv. 12-17)
Questa tavola, tra le più danneggiate, viene sovente integrata con passi tratti dal poemetto sumerico Gilgamesh e Huwawa (vv. 20-50) e dal poema paleobabilonese (tavolette di Yale e di Chicago). Huwawa è il nome sumerico di Khubaba (o Humbaba). Le integrazioni sono in linea di massima accettabili ma vanno ugualmente considerate le numerose differenze di contenuto di queste versioni più antiche.
Per esempio la missione ha un diverso obiettivo (il "mattone" della vita); Enkidu ha un ruolo più subalterno; i due eroi sono accompagnati da 50 giovani di Uruk; Utu (Shamash) invia una diversa masnada di alleati. Degni di nota sono poi, lo "svenimento" di Gilgamesh in battaglia; il suo "voltafaccia" nel secondo scontro; le allusioni di Gilgamesh alle sorelle (Enmebaragesi e Peshtur).
Fortunatamente il poemetto sumerico ci è giunto quasi integro e lo si può leggere come un'avventura a sé in forma più godibile rispetto ai miseri frammenti dell'edizione ninivita.

Commento n. 3:

L’avventura nella Foresta dei Cedri può prestarsi a tre diversi livelli di lettura. Il primo è quello storico: secondo questa lettura, l’impresa di Gilgamesh ed Enkidu rappresenterebbe la lotta sostenuta dai primi re sumeri contro le tribù degli altipiani della Persia e della Siria per procurarsi il legname pregiato con cui costruire i templi e i palazzi delle città sumere. Il secondo livello di lettura, invece, pone l’accento sulla dimensione fantastica e avventurosa dell’impresa. In questo senso, essa potrebbe essere considerata un modello per i successivi racconti di gesta, in quanto presenta alcuni motivi divenuti, in seguito, tipici del genere: l’amicizia fraterna fra due giovani forti e coraggiosi; il desiderio di compiere imprese memorabili; la vittoria finale su un mostro imbattibile. Il terzo livello, infine, propone una lettura simbolica nella quale Gilgamesh rappresenta il Bene destinato a trionfare, nonostante diffi-
coltà e titubanze, sul Male incarnato dal brutale Khubaba.




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