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Riassunti su Gilgamesh

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Messaggio Da admin Dom Ott 20, 2013 4:49 pm

Ciao Tommy, qui troverai 5/6 riassunti su Gilgamesh, da quello di poche righe per un ripassino veloce veloce, a quello un po' più lunghetto per uno studio più approfondito.
Ciao


La storia di Gilgamesh
Una delle storie che racconteremo è nata circa cinquemila anni fa
in Mesopotamia, una regione mediorientale compresa tra i fiumi
Tigri ed Eufrate che non si affaccia sul Mediterraneo, ma che è
sempre stata in stretto contatto con questo mare e con i popoli
che abitavano lungo le sue coste. La raccontarono i Sumeri, il
popolo che aveva fondato la prima grande civiltà della storia, che
aveva al proprio centro città importanti come Uruk e Ur.
Protagonista del mito è Gilgamesh, un essere per due terzi divino e
per un terzo umano, re della città di Uruk, che sorgeva nel Sud della
Mesopotamia. Gilgamesh era un sovrano crudele con i propri sudditi, i
quali, stanchi del suo dominio tirannico, invocarono l’aiuto degli dèi.
Questi, commossi dalle suppliche degli abitanti di Uruk, inviarono in loro
soccorso un eroe di nome Enkidu. Gilgamesh ed Enkidu lottarono stre-
nuamente l’uno contro l’altro, ma nessuno dei due riuscì a prevalere.
Gilgamesh, però, colpito dal valore di Enkidu, strinse con lui una forte
amicizia e accettò di porre fine alle crudeltà che era solito compiere. I
due amici vissero allora una serie di avventure, nelle quali combatterono
sempre l’uno a fianco dell’altro. Tuttavia, gli dèi avevano stabilito che
Enkidu morisse, e così avvenne. Gilgamesh rimase sconvolto dalla morte dell’amico e decise che
l’avrebbe ritrovato, a qualunque costo. Sapeva che un uomo, un giorno, aveva ottenuto l’immortalità
dagli dèi e andò a cercarlo: voleva conoscere da lui il segreto dell’immortalità per restituire la vita a
Enkidu e per liberare tutta l’umanità dal terribile fardello della morte. Quell’uomo era Utnapishtim,
l’unico sopravvissuto al diluvio che aveva distrutto l’umanità. Utnapishtim non poteva svelare il segre-
to di una vita senza morte, ma indicò a Gilgamesh un’erba che si trovava sul fondo del mare e che
regalava la giovinezza. Gilgamesh trovò l’erba miracolosa e la prese per portarla al suo popolo; un
giorno, però, mentre il re dormiva sulle rive di un fiume per riposarsi dalle sue fatiche, un serpente gli
si avvicinò e divorò tutta la preziosa erba.
A quel punto, anche il valoroso Gilgamesh dovette arrendersi al proprio destino e accettare l’inelutta-
bilità della morte. La vicenda di Gilgamesh è antichissima e per molti secoli è stata tramandata
oralmente: solo nel VII secolo a.C. gli Assiri, il popolo che aveva conquistato le terre dei Sumeri, la
misero per iscritto.

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Gilgamesh è un personaggio della mitologia mesopotamica. Mitico re dei Sumeri, fu il quinto re di Uruk, il più antico agglomerato urbano, una città stato, dell'odierno Iraq, nelle vicinanze del Golfo Persico.
Le sue vicende sono narrate nel primo poema epico della storia dell'umanità, denominato successivamente Epopea di Gilgamesh. Si tratta di una leggenda babilonese, il cui nucleo principale risale ad antiche leggende sumeriche, ma che venne trascritta molto tempo dopo il periodo in cui è ambientata la storia. La prima stesura dell'epopea, pervenutaci in frammenti appartiene alla letteratura sumerica, ma la versione più completa sinora nota venne incisa su undici tavolette di argilla che furono rinvenute tra i resti della biblioteca reale nel palazzo del re Assurbanipal a Ninive, capitale dell'impero assiro. Questa redazione tarda della leggenda, risale al VII secolo a.C.
Nella seconda metà dell'Ottocento George Smith, un incisore di banconote britannico, venne assunto alla sezione assira del British Museum di Londra, grazie all'interessamento di sir Henry Rawlinson. Nel 1872 Smith trascrisse e tradusse l'Epopea di Gilgamesh grazie alle tavolette trovate nei magazzini del museo. Nella trascrizione tuttavia mancava una parte, corrispondente a 17 righe. La notizia arrivò al giornale Daily Telegraph, il quale sovvenzionò una spedizione per cercare le tavolette mancanti, mettendone a capo Smith stesso.
La spedizione ottenne i risultati sperati. Il 14 maggio 1873 Smith rinvenne le tavolette mancanti: «scesi ad esaminare il deposito di frammenti di iscrizioni cuneiformi provenienti dagli scavi del giorno, togliendo la terra e spazzandola per leggerne il contenuto. Pulendone una trovai con mia gioia e sorpresa che conteneva la maggior parte delle diciassette righe di un’iscrizione appartenente alla prima colonna del racconto caldeo del Diluvio, che si inserivano nell’unico punto dove c’era una grave lacuna nel racconto».[2]
La storia di Gilgamesh
Gilgamesh, per due terzi divino e per un terzo umano, è un sovrano tirannico che costringe i giovani guerrieri della sua città a continui e sfiancanti esercizi, finché non incontra Enkidu, creatura selvaggia plasmata dagli dei per rispondere alle preghiere dei cittadini di Uruk. Gilgamesh ed Enkidu lottano selvaggiamente, durante la festa di Ishkarra (nella quale alcuni studiosi ritengono di ravvisare una sorta di ius primae noctis). Non riuscendo a prevalere nonostante la sua forza leggendaria, Gilgamesh, colpito dal valore del suo avversario, stringe con lui un solenne patto d'amicizia. I due amici si avventurano fuori dalla città verso la foresta dei cedri dove il terribile mostro Khubaba sta a guardia dei pregiati alberi. Il loro scopo è tagliare i tronchi più belli per portarli ad Uruk ma vengono scoperti dal mostro. Uniti combattono e sconfiggono la bestia e così i due eroi trionfanti fanno ritorno ad Uruk con il prezioso bottino, dove la dea Ishtar, impressionata dalla bellezza e dal valore di Gilgamesh, gli propone di diventare suo sposo, ma riceve un netto rifiuto (motivato dalla discontinuità dell'amore della dea, che era solita condannare in un modo o nell'altro i suoi amanti). Ella, quindi, chiede a suo padre Anu di affidarle il Toro celeste, che scatena per le strade di Uruk. Enkidu affronta due volte il toro, dapprima da solo, e poi con l'aiuto di Gilgamesh, e durante il combattimento afferra il toro per la coda mentre Gilgamesh lo colpisce con la sua spada tra le corna. I due eroi trionfano, forti del loro valore. Enkidu tuttavia per volontà degli dei muore a seguito di una malattia e Gilgamesh, per la prima volta, è affranto dal dolore.
Sconvolto, parte alla ricerca dell'unico uomo che conosce il segreto dell'immortalità: Utnapishtim, il lontano, antico re di Shuruppak sopravvissuto al diluvio universale, ma quando, dopo numerose peripezie, riesce ad incontrarlo, nella terra di (Dilmun) - là dove sorge il sole - deve arrendersi all'evidenza: le circostanze che hanno dato al suo antenato l'immortalità sono eccezionali e non ripetibili. Riceve però indicazioni su come raccogliere in fondo al mare un'erba simile al biancospino il cui nome è vecchio-ritorna-giovane, che intende portare al suo popolo, ma dopo essere riuscito a coglierla, immergendosi con l'aiuto del battelliere Urshanabi, mentre si riposa accanto a un ruscello, un serpente la porta via e, dopo averla mangiata, cambia pelle. Gilgamesh fa quindi ritorno ad Uruk e qui l'epopea babilonese classica si interrompe.
Nella dodicesima tavoletta, incompleta, del testo ninivita, viene però riportato un episodio che per le sue peculiarità linguistiche e formali e per la scarsa coerenza con il resto della narrazione appare come un mito a sé stante, con Gilgamesh ed Enkidu come protagonisti. Vi si narra della perdita da parte di Gilgamesh di due oggetti simbolici di grande valore, un pukku e un mekku, nella "Terra" (ovvero nell'oltretomba). Si tende ad identificare questi due oggetti rispettivamente con un tamburo e una bacchetta, strumenti musicali di carattere sacro nell'antica Mesopotamia. Enkidu si offre di discendere agli inferi per recuperarli, ma nel farlo non segue i consigli elargitigli da Gilgamesh per poter ritornare alla luce, rimanendo prigioniero dell'oltretomba. Gilgamesh prega il dio Enki di poter ancora un'ultima volta parlare ad Enkidu, e viene esaudito: Enki intercede presso Nergal, signore dell'oltretomba, che permette all'anima di Enkidu di uscire temporaneamente dal Kur. Nell'ultima parte del testo, fortemente lacunosa, Enkidu racconta all'amico diletto la sua esperienza dell'al di là, dipinto nei termini cupi e privi di speranza tipici della letteratura sumerica e mesopotamica. La dodicesima tavoletta di Ninive fa parte in realtà di un altro mito sumerico: "Gilgamesh e l'albero di Huluppu", conosciuto anche in altre versioni più antiche. In esso Gilgamesh, dopo aver abbattuto un albero gigantesco, costruisce con il suo legno un seggio per sé e la dea Inanna (Ishtar), il pukku e il mekku (in questa versione del mito Gilgamesh chiama la dea "sorella").
Le interpretazioni della vicenda di Gilgamesh
Il tema principale che dà forza alla narrazione è la ricerca di Gilgamesh dell'immortalità. La narrazione del poema ha un punto di discontinuità fondamentale nella morte di Enkidu: prima della sua morte ogni accadimento della saga è qualcosa di eroico e soprannaturale e il tema di fondo di questa prima parte è il viaggio come percorso di formazione. Dopo la morte del fedele amico, ogni cosa viene ridimensionata ad una dimensione umana: è la parte più dolorosa del cammino di formazione del sovrano sumero, ma è grazie ad essa che si percepisce la grandezza della sua figura. Gilgamesh nella sua ricerca dell'immortalità, del superamento dei limiti imposti, sembra quasi anticipare la sete di conoscenza che anima Ulisse nell'Odissea.
La virile amicizia tra Gilgamesh ed Enkidu è stata sovente accostata all'intenso rapporto tra Achille e Patroclo nell'Iliade. Alcuni studiosi hanno voluto vedere nel legame tra i due eroi sumerici una valenza omosessuale. A questo proposito altri studiosi hanno tuttavia constatato come ogni atto compiuto da Gilgamesh ed Enkidu sia espressione suprema di intima amicizia, il più eroico possibile. Alla luce di questo anche il loro legame è da interpretarsi come un legame da apparire travalicare nell'amore in senso assoluto[senza fonte].
Il testo è inoltre considerato come la più antica descrizione disponibile degli effetti psicologici dei traumi emotivi, presentati con notevole finezza.
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Gilgamesh e il potente re di Uruk , e di natura umana e divina xkè sua madre era dea e suo padre era un mortale, lui era bello e forte ma anke molto prepotente tanto ke i suoi sudditi stanchi del suo comportamento chiedono aiuto agli dei che creano Enkidu un guerriero fatto di argilla, i due divennero subito amici la dea ishtar si era innamorata di Gilgamesh ma egli riufiutò il suo amore lei x vendicarsi manda un toro che semina morte e distruzione ma i due alleati lo sconfiggono così la dea ancor più arrabbiata chede aiuto agli dei e fa morire enkidu gilgamesh molto addolorato va alla ricerca del vecchio utanapishtim (noè) per trovare la pianta dell'immortalità noè gli dice dove si trova e gilgamesh la prende al viaggio di ritorno gli viene rubata da un serpente facendogli capire che l'immortalità la possono dare solo gli dei agli uomini più meritevoli. così torna a uruk (che si trova in mesopotamia nel caso nn lo sapessi xD) dove muore dp aver parlato in sogni con enkidu ke gli racconta la triste vita dei morti

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LA TRAMA DEL POEMA

Gilgamesh è il fondatore della città di Uruk e deI suo tempio, nel quale abitano gli dei. Ritenendo troppo severa la giustizia di Gilgamesh, un semidio che per due terzi è di natura divina, i cittadini di Uruk si rivolgono agli dei.Costoro incaricano la dea Aruru di forgiare un’ immagine deI re. Viene così creato Enkidu, eroe primitivo e selvaggio, che va conducendo un’esistenza più simile a quella degli animali che a quella degli uomini. Ricorrendo alla seduzione di una bellissima donna e ad altri stratagemmi, Gilgamesh riesce infine, ad ammansire Enkidu e a fare di lui un uomo civile: i due eroi, che avrebbero dovuto combattersi, secondo i progetti degli dei, diventano così amici.Essi si accingono a compiere insieme una prima impresa: l’uccisione deI mostro Humbaba, dalla voce simile alla tempesta, che custodisce il monte dei cedri.Nonostante nella lotta Enkidu sia più volte sopraffatto dalla paura, i due eroi, grazie anche alla protezione deI Sole, uccidono il mostro e tornano trionfalmente a Uruk.Successivamente la dea Istar tenta di sedurre Gilgamesh: respinta, fa inviare sulla terra il Toro deI Cielo per uccidere il re di Uruk e vendicare l’offesa, ma la bestia viene abbattuta da Enkidu. Gli eroi intraprendono poi insieme altre imprese (dodici in tutto), ma un brutto giorno Enkidu si ammala e muore. Gilgamesh, angosciato di fronte al mistero della morte che neppure lui potrà evitare, dopo aver pianto l’amico decide di andare dall’eroe deI diluvio universale, Utnapishtim, che ha ottenuto dagli dei il dono dell’immortalità.Dopo aver superato mille difficoltà, Gilgamesh attraversa, unico fra i mortali, il Mare della  Morte e giunge all’isola dei Beati dove, con la moglie, vive Utnapishtim.costui narra la propria storia a Gilgamesh: un tempo gli dei decisero di punire l’umanità per le sue malvagità minandola attraverso un grande diluvio. A Utnapishtim fu rivelato il disegno degli dei e l’eroe si mise in salvo costruendo un’immensa nave nella quale trovo rifugio con la moglie e  diede ospitalità anche ad animali e piante durante i sette giorni in cui si scatenò furia degli elementi e le acque sommersero ogni cosa.Approdato infine sulla terraferma, dopo la fine deI diluvio che aveva sterminato l’umanità, Utnapishtim fece sacrifici agli dei che si riconciliarono con lui e gli diedero il dono dell’immortalità. Terminato il suo racconto, Utnapishtim dà a Gilgamesh alcuni consigli che gli permetteranno di evitare per sempre la vecchiaia: l’eroe li segue e raccoglie in fondo al mare un’erba miracolosa che conserva l’eterna gioventù. Ma mentre il re discende in un pozzo per lavarsi, un serpente gli toglie l’erba e sottrae a Gilgamesh il prezioso dono così faticosamente ottenuto. Ritornato a Uruk, Gilgamesh interroga l’ombra deI suo defunto amico Enkidu, il quale, per speciale favore del re dell’oltretomba, può rispondere alle ansiose domande dell’eroe sul modo in cui la vita continua oltre la morte. Qui, con il dodicesimo canto, l’opera si conclude o, forse, si interrompe.


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allora in pratica gilgamesh era il 5 re dei sumeri di ur (mi sembra) ma il suo poema è stato scritto sotto il regno di hammurabi (babilonese).

molto in brave il poema narra di gilgamesh (considerato una sorta di dio) e di un suo amico che compiono delle azioni che fanno adirare gli dei. essi x punirli uccidono l'amico di gilgamesh (che qui viene descritto come un uomo che provq quindi dolore umano).
quindi gilgamesh viene descritto sia come dio ke come uomo
P.S.
nel poema c'è anke il racconto del diluvio universale e una copia era custodita anke nella bibiloteca di ebla.

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Gilgamesh è un personaggio della mitologia sumera. Mitico re dei Sumeri, regnò su una delle più antiche città: Uruk ("l'ovile"), il più antico agglomerato urbano dell'odierno Iraq, nelle vicinanze del golfo Persico.
Le sue vicende sono narrate nel primo poema epico della storia dell'umanità, denominato successivamente Epopea di Gilgamesh. Si tratta di una leggenda babilonese, il cui nucleo principale risale ad antiche leggende sumeriche, ma che venne trascritta molto tempo dopo il periodo in cui è ambientata la storia. La prima stesura dell'epopea, pervenutaci in frammenti appartiene alla letteratura sumerica, ma la versione più completa sinora nota venne incisa su undici tavolette di argilla che furono rinvenute tra i resti della biblioteca reale nel palazzo del re Assurbanipal a Ninive, capitale dell'impero assiro. Questa redazione tarda della leggenda, risale al VII secolo a.C.

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